Leone di San Marco, leone del profeta
Ad est di Creta corre il tuo Vangelo
Si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano
La spada, e non il libro, hai nella mano
Francesco Guccini, Asia
Prima che simbolo del patrono di Venezia, come tale ritratto in innumerevoli stendardi, bandiere e vessilli della Serenissima dominatrice dei mari, il leone è per antonomasia personificazione del potere regale.
Il motivo è chiaro come il … sole: all’astro re di tutti gli astri somiglia il leone, la sua criniera sono i suoi raggi, il segno zodiacale che lo disegna nel cielo è quello dell’estate, della pienezza sfolgorante del sole e del rigoglio della natura.
Nessun riferimento è forse più diretto dell’immagine che si trovava, fino al 1980, sulla bandiera dell’Iran: un leone con alle spalle un sole nascente.
Sicuramente piccoli (e grandi) spettatori del Re Leone disneyano non hanno avuto esitazioni nell’associare il leone alla regalità, senza magari averlo mai visto, neanche allo zoo.
È quasi un archetipo mentale derivante da una tradizione millenaria che associa la potenza “solare” alle altre doti leonine: la forza, il coraggio di fronte al pericolo, la voce tuonante, ma anche la giustizia e la clemenza. Tutte doti di un eccellente sovrano.
Non era un re, Enrico XII duca di Sassonia, detto il Leone, ma come tale voleva essere trattato e non pochi problemi ebbe per questo con l’imperatore Federico Barbarossa. Egli volle collocare nel 1166, sulla piazza di Brunswick, una statua bronzea del suo regale eponimo, una delle prime statue con un animale protagonista dalla fine dell’antichità. Sul luogo ora c’è una copia e l’originale è in un museo della città sassone.
Combattere il leone è segno supremo di forza: bisogna essergli alla pari e, una volta vinto, occorre rendergli l’onore delle armi, anche e soprattutto nel caso che a ucciderlo sia un re, come nel caso di Assurbanipal II.
E, in fondo, è un onore delle armi, anche quello che rese Eracle al Leone di Nemèa, che non poteva essere ucciso con nessuna arma perché la sua pelle era invulnerabile. Piuttosto furbo, il leone si nascondeva in una grotta con una doppia uscita. Più furbo di lui, Eracle con legna e pietre sbarrò una delle due uscite. Il leone, preso in trappola, non potè sfuggire alla stretta micidiale delle braccia dell’eroe che, da allora, si servì della sua pelle come una veste, ricoprendosi il capo con la testa della bestia: eroe vestito da pelle di eroe, un eroe al quadrato, dalla doppia invincibilità, così ci appare Eracle nelle tappe successive del suo “faticoso” cammino.
Nell’Iliade Omero paragona Aiace e Achille a dei leoni e – immancabilmente – Alessandro Magno, che da Eracle diceva di discendere, si fa ritrarre in monete e ritratti con una leontè sul capo.
Anche nelle Sacre Scritture c’è un leone – un giovane leone – che assalta un uomo e da lui viene squarciato. Quell’uomo è il fortissimo Sansone (il cui nome significa “piccolo sole”). Ripassando per la stessa strada qualche tempo dopo, Sansone vede che all’interno della carcassa del leone c’è un favo con del miele e di esso si ciba: “Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscita la dolcezza” (Gc, 14,14)
Onore delle armi, senza dubbio, ma anche accenno a un’ambivalenza che corre per tutte le Scritture e che, di conseguenza, fiorisce poi rigogliosa nei commenti dei Padri della Chiesa. Uno per tutti, Gregorio Magno, che dice: “Il leone ha la potenza, ma anche la crudeltà: con la potenza designa Dio, con la crudeltà il diavolo” e, per giunta, “con il nome di leonessa si indica a volte la Santa Chiesa, a volte Babilonia”. Come dare torto a Gregorio? Dio stesso si paragona al leone quando interviene contro i malvagi (“Come un leone ruggente” Is. 31,4), ma leoni sono anche i suoi nemici (“Siate sobrii e state in guardia! il diavolo si aggira, come leone ruggente, in cerca di chi divorare” I Pt, 4,8).
Leoni di pietra custodiscono l’ingresso agli antichi templi; dall’Occidente alla lontana Cina, le porte delle città si avvalgono della loro protezione, come a Micene. Oppure, come a Delo, proteggono dall’alto di una Terrazza il mitico lago della nascita di Apollo e altre zone sacre dell’isola. Erano dodici, ne sono rimasti cinque, uno è ora all’entrata dell’Arsenale di Venezia, parte di un bottino della Serenissima (whose else?) in Grecia.
Lo spettacolare sarcofago a vasca nella collezione Torlonia, datato alla seconda metà del III secolo dopo Cristo, mostra sui fianchi dei leoni che hanno appena azzannato una vittima, con il ringhio tipico del vincitore. Non dobbiamo essere ingannati dalla loro splendida fattura ma stare bene attenti a non avvicinarci al sarcofago con cattive intenzioni.
Funzione di guardiani conservano i leoni stilofori delle cattedrali cristiane. Leggenda vuole infatti che i leoni dormano ad occhi aperti, ma accanto alla porta delle chiese assumono un significato in più: Cristo disse di se stesso “io sono la porta, se uno entra attraverso di me, sarà salvo” (GV, 10,9).
Non possiamo qui ripercorrere per intero l’enciclopedica tradizione medievale che dedica al leone un posto d’onore. Basti solo dire che il Fisiologo, capostipite dei bestiari, comincia così: “Cominceremo parlando del leone, il re degli animali”. Poi elenca le tre principali caratteristiche. Oltre a quella di dormire con gli occhi aperti, come abbiamo visto, quella di cancellare con la coda le proprie tracce se si vede inseguito e – forse la più interessante – quella di resuscitare con il suo alito i cuccioli partoriti morti dalla leonessa. Dopo quanti giorni? è facile indovinare: tre … Infatti segue: “così il padre onnipotente il terzo giorno resuscitò dai morti nostro Signore Gesù Cristo suo figlio”.
Da cosa nasce cosa e la storia è di lunga durata. Un leone altamente cristologico è quello uscito dalla penna (intinta di studi teologici) di C.S. Lewis. Si chiama Aslan ed impersona il Bene nel fortunato “Il leone, la strega e l’armadio”, primo romanzo del ciclo “Le cronache di Narnia”, da cui è stato tratto un film.
Aslan, che per gli spettatori italiani ha la voce suadente e l’accento esotico di Omar Sharif, muore e resuscita in un’ alba mirabolante.
Di leoni sono piene peraltro le favole e le leggende. Chi non conosce la storia del leone di San Girolamo, il santo “schiavone” la cui storia è narrata nei teleri di Carpaccio, ancora felicemente integri nel luogo cui erano destinati?
Narrano le leggende che Girolamo, ad un certo punto della sua vita, dopo essere fuggito da Roma si ritirò in un convento nei pressi di Betlemme dove continuò i suoi digiuni e i suoi studi. Un giorno capitò nel convento un leone che gettò nello scompiglio il monastero e riempì di paura i frati.
Il leone aveva una spina nella zampa e Girolamo intuì che la bestia sofferente era stata inviata da Dio perché venisse curata. Curato e ormai ammansito, il leone venne destinato ad una funzione a dir poco servile: portare a pascolare l’asino, a sua volta servitore del convento e trasportatore di legna. Un giorno l’asino venne rapito da mercanti infedeli e il leone, accusato di esserselo mangiato, si riscattò proprio aiutando i frati a ritrovarlo. La strana coppia vivrà da allora unita fino alla fine dei propri giorni.
Da cosa nasce cosa, e la storia del leone con la spina nella zampa ce ne ricorda un’altra, quella di uno schiavo dei tempi di Tiberio o di Caligola, di nome Androclo, che per sfuggire ai maltrattamenti del suo padrone, proconsole in Africa, si rifugiò in una caverna. Lì entrò un leone sofferente per via di una scheggia di legno che gli si era conficcata nella zampa. Androclo lo curò e il leone si accucciò ai suoi piedi come un gattone. Vissero insieme tre anni. Poi Androclo fu catturato e condannato a battersi con le fiere nel Circo Massimo. Una di esse era il “suo” leone che lo riconobbe e naturalmente non lo assaltò. Il lieto fine, credibile o meno, dice che vennero graziati entrambi.
G. B. Shaw ne fece una commedia dalla quale fu tratto un film nel 1952.