“Cecafumo”. Così si chiamava la zona in cui, all’indomani della sua istituzione nel 1949, l’INA-Casa progettò i quartieri del Tuscolano I, II e III. Situata tra la via Tuscolana e il Parco degli Acquedotti, aveva quel nome perché i fuochi delle baracche e delle botteghe artigiane sorte in questa terra di confine, non avendo sfogo, affumicavano l’aria circostante.
Oggi la zona è trafficatissima, il municipio cui appartiene è il più popoloso di Roma. Ma all’interno delle ripartizioni del piano INA-Casa realizzato in due settenni è ancora oggi possibile trovare la dimensione di quartiere a misura d’uomo e una rara pace.
La visita di Alberto Coppo è stata una vera “lectio” su questo settore in fondo poco conosciuto della città. Il percorso prescelto, ad anello, è stato del tutto funzionale a comprendere – percorrendole – le varianti urbanistiche tra Tuscolano I, II e III (ma il III è un caso a sé). Il I con strade regolari e per lo più ortogonali, il II con case più basse e vie più sinuose, ma con “torri” di dieci piani a marcare il confine. Moltissimi gli architetti, tra i più famosi del tempo, per lo più romani e attenti a fare i conti con il passato (anche il proprio) e dunque nel proporre soluzioni in discontinuità rispetto agli anni del razionalismo architettonico appena passati e ritenuti ormai fortemente compromessi dall’ideologia del Regime. Muratori e De Renzi in primo luogo, ma anche Fasolo, Cambellotti, Perugini, Gatti, Dall’Olio … Ognuno con una sua cifra: Muratori e De Renzi sono gli autori dei lunghi edifici del Boomerang e del “Vermicone”, Vagnetti e Tassotti arretrano, scalandole, le superfici esterne degli edifici creando un senso di movimento che, insieme alla linea spezzata dei tetti triangolari, dà alle case in linea basse un senso di ritmo molto accentuato. E ancora: balconi triangolari e cornici marcapiano spezzate o continue, tetti a falda e “brise-soleil” estremamente innovativi e raffinati nei balconi e nelle logge …
Infine l’ultima realizzazione: il Tuscolano III di Adalberto Libera. Sorprendente agglomerato cui si accede ormai in prossimità dell’Acquedotto Felice. Libera aveva fatto un viaggio in Marocco ed era rimasto folgorato dalle abitazioni a un piano con patio interno. In una cartolina da Casablanca con una foto della medina, scrisse al presidente del Consiglio Direttivo dell’INA Casa: “Ecco l’INA Casba”. Superata la copertura d’ingresso a finta volta, un giardino/spazio pubblico da accesso ai vari vialetti che a loro volta danno accesso agli appartamenti a un piano, ciascuno con un suo patio e ciascuno con un suo colore.
Il quartiere purtroppo non è autosufficiente come avrebbe dovuto essere: il mercato e il commissariato sono stati realizzati ma il cinema no, e perfino la chiesa, infossata in Largo Spartaco, è rimasta a un solo piano, una sorta di cripta nel parcheggio antistante.
Ma nel quartiere si tocca comunque con mano l’elaborazione quasi febbrile di una città che offra moderni strumenti per l’esistenza e la convivenza delle persone di ceto popolare.
Come diceva un altro grande architetto di questa stagione progettuale, Mario Ridolfi, le soluzioni urbanistiche devono essere “… varie, mosse, articolate, tali da creare ambienti accoglienti e riposanti, con vedute in ogni parte diverse…dove ciascun edificio abbia la sua fisionomia ed ogni uomo ritrovi senza fatica la sua casa, col sentire riflessa in essa la propria personalità”.