In una mattinata dai primi rigori tardo autunnali, ci siamo dati appuntamento in piazza San Marcello per visitare l’omonimo edificio di culto che si affaccia su una piazzetta all’inizio di via del Corso, l’antica via Lata, davanti alla quale si passa per lo più distrattamente.
Partiamo come di consueto dal contesto e dalle origini che, come da tradizione, si presentano incerte se non nebulose.
La chiesa sorge per alcuni sul, per altri presso, il ‘catabulum’, luogo dei servizi di posta dell’Impero romano, in cui Massenzio avrebbe condannato a servire papa Marcello I che morì per gli stenti. Ed ecco i primi dubbi, in quanto la storiografia ricorda che Massenzio, uomo pragmatico, non era propenso a imporre l’adorazione delle divinità sotto minaccia di persecuzioni, sebbene siano plausibili i contrasti con il pontefice per la questione dei “lapsi” (letteralmente i “caduti”) i cristiani chiamati a riconvertirsi dopo essersi macchiati di apostasia.
Le prime notizie sull’esistenza di un edificio di culto risalgono agli inizi del V secolo, ben prima dell’armoniosa facciata tardobarocca realizzata da Carlo Fontana alla fine del ‘600 che attrae lo sguardo anche del passante più distratto.
Un passo indietro per tornare al 1519 quando un violento incendio distrusse quasi completamente la chiesa: si salvò soltanto un grande crocifisso ligneo databile alla fine del ‘300, oggetto da allora di grande venerazione (è quello che papa Francesco venne a pregare negli anni del COVID). A seguito di ciò fu dato incarico a Jacopo Sansovino di riprogettare la chiesa che fu terminata molti anni più tardi. Anzitutto ne fu invertito l’orientamento portando l’ingresso principale, che si trovava su Piazza Ss. Apostoli, su via del Corso.
L’interno colpisce subito per la profusione di marmi preziosi e, alzando lo sguardo, per il pregiato soffitto a lacunari lignei con simboli mariani.
La nostra guida Rossella Faraglia si è soffermata su alcune importanti opere pittoriche di impronta tardo-manierista o di primo seicento e coeve sculture: l’eloquente e imponente Crocifissione in controfacciata di Giovan Battista Ricci da Novara, le Storie della Vergine di Francesco Salviati nella cappella Grifoni, i busti di sei personaggi della famiglia Frangipane scolpiti, a sinistra da un ignoto scultore del ‘500 e a destra da Alessandro Algardi. La cappella fu integralmente decorata da Taddeo Zuccari, compresa la luminosa pala d’altare con la Conversione di San Paolo.
Jacopo Sansovino oltre che autore del primo progetto per la ricostruzione della chiesa, è anche l’autore del notevole monumento funebre del del cardinale Giovanni Michiel e di suo nipote, il vescovo Antonio Orso. Il cardinale era morto nel 1503 su istanza di Cesare Borgia, vittima emblematica di intrighi politici fra le famiglie che ambivano al soglio di Pietro.
La chiesa è stata inoltre testimone di grandi eventi storici cittadini: qui fu trascinato dal popolo il cadavere di Cola di Rienzo nel 1354, orrendamente smembrato, come narrato con dovizia di particolari dall’Anonimo Romano nella sua ‘Cronica’, di cui Rossella ci ha letto qualche brano.
Ultima tappa della nostra passeggiata fra arte, storia e religione è stata la visita al battistero dell’XI secolo, costruito sopra a quello del V, attualmente visibile sotto una lastra di vetro nel pavimento del lussuoso albergo che ha preso il posto di parte di quello che fu il Palazzo Michiel, poi Salviati, poi Mellini che si affaccia sulla piazza.
Ci salutiamo con la rinnovata convinzione che visitare un edificio di culto, rinomato o meno che sia, è spesso fonte di interessanti e inaspettate scoperte.