In una mattina grigia con pioggia incipiente abbiamo visitato la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, accompagnati da Sara Millozzi e Rossella Faraglia in una sorta di racconto a doppio binario archeologico e storico-artistico su percorsi che, inevitabilmente, viaggiano in parallelo talvolta intersecandosi…
Visto che non è possibile visitare autonomamente l’area archeologica, è stato essenziale inquadrare il luogo di incontro: l’Esquilino, uno dei colli e delle regioni di Roma antica. Essendo uno dei punti più alti della città, qui confluivano otto diversi acquedotti, tra cui quello di Claudio di cui si ha testimonianza monumentale nella Porta maggiore.
Destinata in epoca arcaica a sepolcreto, la zona è stata poi in larga parte interessata a una grande trasformazione e divenne agricola e residenziale: qui furono i famosi Horti di Mecenate e qui, a inizio III secolo d.C., erano gli Horti Variani (dalla gens dei Varii). Con i Severi (Eliogabalo), essi entrarono a far parte del demanio imperiale e videro l’edificazione di una sontuosa sede, il Sessorium, articolata in un vasto complesso di edifici fra i quali l’anfiteatro Castrense che oggi vediamo inglobato nelle successive Mura aureliane.
Arriviamo quindi agli anni di regno di Costantino che usò, anche se per pochi anni, il palazzo imperiale: gli impegni e le scelte di governo, in uno dei grandi bivi della Storia, condussero presto l’imperatore a Costantinopoli. Nel palazzo sessoriano rimase sua madre Elena che, in un atrio del palazzo stesso fece costruire una cappella, poi divenuta chiesa, con il significativo nome di Hierusalem, per conservare le reliquie della croce di Cristo da lei riportate dal viaggio in Terrasanta.
Evento dai contorni storici nebulosi, ampiamente narrato nella Legenda Aurea e utilizzato spesso in cicli dipinti quando, nei secoli successivi, si voleva promuovere la crociata contro gli infedeli, soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli: uno è quello di Piero della Francesca nella Basilica di san Francesco ad Arezzo.
Qui, in Santa Croce in Gerusalemme, Antoniazzo Romano ne fa un uso più moderato, come si conveniva a una congiuntura politica più incline alla ricerca della conversione pacifica, più che alla crociata. Nello splendido affresco, gli eventi della narrazione si dipanano da sinistra a destra dell’abside, depurati dagli elementi più cruenti. Tra tutti, giganteggia la pinturicchiesta Elena con il suo bel manto giallo-oro. Interessanti le tele delle cappelle laterali, che ricordano il lungo affidamento ai cistercensi della basilica: tra di esse una bella pala di Carlo Maratta, con “San Bernardo che induce l’antipapa Vittore IV ad umiliarsi di fronte ad Innocenzo II”.
Degna di nota è anche la cappella di S. Elena, oggi a una quota più bassa rispetto alla basilica, dove una lapide ricorda il luogo in cui l'”augusta” madre depose la terra raccolta sul monte Calvario. Peccato non poter più ammirare ben tre pale d’altare eseguite da Rubens nel suo soggiorno romano, andate disperse.
Nel salutarci, sotto la pioggia che cominciava ad essere insistente, abbiamo ammirato la bella facciata barocca di metà Settecento dagli architetti Gregorini e Passalacqua che risolsero in modo piuttosto geniale il collegamento visivo con l’austera S. Giovanni in Laterano.