Abbiamo iniziato il nuovo anno con la visita alla mostra sulla Dacia, antico territorio della Romania, nello spettacolare complesso museale delle Terme di Diocleziano.
Un’ampia e multiforme gamma di reperti archeologici, prodotti in un arco temporale di mille anni circa, ci ha permesso di conoscere usi e costumi di popolazioni a noi poco note, nonostante l’assimilazione della conquista imperiale romana.
In apertura, un calco della Colonna traiana: un frammento colorato ( secondo l’ipotesi di ricostruzione visiva di Ranuccio Bianchi Bandinelli, ricordata in questo breve filmato ) con la rappresentazione di uno degli eventi che hanno scandito le due campagne daciche di Traiano. La ‘storia a fumetti’ che si snoda lungo la Colonna è di fatto l’unica fonte in nostro possesso, perché il “De Bello Dacico”, scritto dallo stesso imperatore nello spirito del “De Bello Gallico” di Giulio Cesare, è andato perduto. I lontani ricordi di scuola ci riportano ad alcuni fatti in essa raffigurati, come la costruzione del ponte sul Danubio, ideato da quel genio di Apollodoro di Damasco, e la successiva battaglia di Tape con la sconfitta delle truppe del re Decebalo e suo successivo suicidio.
La Dacia è stata una conquista ambita soprattutto per via delle ricche miniere di oro e argento, ma presto perduta: nell’anno 275 l’imperatore Aureliano decise di ripiegare al di qua del Danubio essendo il limes divenuto indifendibile.
Il magmatico mescolarsi dei popoli limitrofi, in territori vasti e complessi anche oggi, dalla Macedonia, alla Serbia, all’Ucraina, le politiche coloniali romane, di cui l’azione dell’esercito era il primo braccio operativo, ha prodotto una koinè con caratteristiche proprie ma che via via è stata fortemente segnata dall’influsso artistico greco/romano.
Diversi reperti di sicuro interesse e in alcuni casi di grande bellezza e preziosità, di cui riportiamo alcuni esempi nelle foto di questo post, hanno fatto da scenografia alla competente voce narrante della nostra guida Sara Milozzi. Senza di lei, avremmo capito la metà delle storie che ci raccontano i reperti e un terzo (o anche meno) dei conflitti e della mescolanza grandiosa di questa parte d’Europa.
Il simbolo dell’esposizione è la statua in marmo di Glicone, il dio serpente dalla testa con sembianze umane che proteggeva dalle malattie, capace di volare in cielo come un apotropaico drago. Di particolare raffinatezza è una statuetta in ambra rappresentante un piccolo Eros, messaggero divino, che guida un carro trainato da un uccello. Un unicum è invece una placchetta di marmo nella quale il Dio Silvano è musicalmente accompagnato da nove ancelle “silvane” (sorta di replica di Apollo con le Muse in versione boschiva… ). Lo spettacolare elmo trace da parata in oro, da Cotofeneşti risalente al V secolo a.C., eseguito con la straordinaria perizia che rimanda alle lavorazioni sciite, e l’altro elmo celtico di bronzo da Ciumeşti, con in cima un rapace dalle ali semoventi che doveva terrorizzare i nemici. Non solo elmi ci hanno colpite/i, ma anche uno strabiliante diadema in oro con iconografie dionisiache e squisite decorazioni floreali, e armille, spille con smalti cloisonnés…
Le teche espositive, verso la fine del percorso, ci hanno portato in un mondo diverso, bizantino e alto-medievale.
Nel mentre l’Impero romano d’Occidente era divenuto un pallido ricordo… ma forse non troppo, essendo la conquista di Traiano tuttora ricordata con enfasi nell’inno nazionale rumeno.