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Foto della Mostra Urbano VIII, i Barberini, le arti, la cultura – 15 Aprile 2023

“Urbano VIII era un uomo di bell’aspetto, di buona cultura e di modi cordiali, soggetto però talvolta a violenti attacchi di cattivo umore”. Francis Haskell così presenta Maffeo Barberini, papa Urbano VIII, nel fondamentale “Mecenati e pittori”. Un cattivo umore che si annidava sotto la magnanimità, lo sfarzo, la pompa e la magnificenza che caratterizzarono le sue azioni di governo e anche il suo mecenatismo. Quest’uomo di sconfinata ambizione, di solida dottrina, di capacità letterarie piuttosto spiccate, di straordinaria ricchezza, ereditata da uno zio accorto accumulatore di cariche, una volta divenuto papa formò con i tre nipoti Francesco, Taddeo e Antonio un sodalizio di potere che ha pochi eguali nella storia. Tutti e tre, come lo zio amanti delle arti (Taddeo un po’ di più delle smargiassate che gli permetteva il suo ruolo di prefetto di Roma) e complice un periodo lunghissimo di pontificato, segnarono indelebilmente il volto della Roma seicentesca, attraverso le committenze agli artisti di casa e ai forestieri, al rapporto con gli ordini religiosi e con i sodalizi scientifici e letterari e – soprattutto – attraverso la decorazione e l’esibizione del palazzo al Quirinale.

Non c’era luogo più adatto di Palazzo Barberini per celebrare i quattrocento anni dall’elezione al pontificato di Maffeo Barberini (6 agosto 1623) e per allestire, con l’aiuto di prestiti notevoli, una ricostruzione (beninteso parziale e criticamente orientata) della collezione, dei fasti, del rapporto con gli artisti, gli scienziati, i letterati che “sciamarono” intorno alle api.

Una bella mostra, fastosa come il suo oggetto, con dei colpi di genio, come le sdraio sotto al voltone di Pietro da Cortona, “provvidenzialmente” poste sotto il Trionfo della Divina Provvidenza. Ci auguriamo davvero che vengano lasciate. E come l’allestimento della sala in cui campeggia la splendida Arpa Barberini, in compagnia della Venere che suona (proprio) l’arpa di Lanfranco, il ritratto di Marcantonio Pasqualini, il famoso cantante castrato al servizio del cardinale Antonio, di Andrea Sacchi, e lo splendido Pan lascivamente sdraiato di Francesco da Sangallo…

Le api, “argumentose” secondo la definizione di Maffeo, sono ovunque, negli emblemi, nei dipinti, sui libri e sugli arazzi e, come si sa, sparse in diversi punti della città, a imperituro ricordo di una stagione irripetibile per splendore, solo un poco offuscata dagli insuccessi politici in un periodo, la Guerra di Trent’anni, segnato da conflitti diffusi ad alta e bassa intensità. Ma aleggia anche, in maniera accennata, lo strapotere del primo degli artisti di corte, che mise in ombra talenti talvolta (absit iniuria verbis) pari al suo. È il caso di Giuliano Finelli e – soprattutto – di Francesco Mochi.

Impossibile riassumere questa mostra epocale che consigliamo vivamente di visitare, c’è tempo fino a luglio!

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