“Tutto è santo” è il titolo della mostra che abbiamo avuto la fortuna di visitare con Giuseppe Garrera, uno dei curatori. Nell’atrio, una doverosa introduzione biografica che ha evidenziato un pre e un post nella vita di Pasolini: pre Roma e post Roma.
L’arrivo nella capitale nel 1950, insieme alla madre Susanna Colussi, è stato l’inizio di un amore folgorante che è durato per tutti i venticinque anni che gli restavano da vivere, fino al tragico epilogo all’Idroscalo.
Prima, la formazione scolastica a Bologna, il brillantissimo percorso liceale e universitario, le prime poesie nella lingua madre, il dialetto friulano, pubblicate proprio a Bologna nel 1942.
Uno snodo preciso: l’avvicinamento al mondo della storia dell’arte attraverso le lezioni di Roberto Longhi. È del 1951 la mostra che Longhi organizzò a Milano su Caravaggio, facendolo “conoscere” dopo secoli di oblio. Caravaggio, i suoi corpi adolescenti, inermi e provocanti, i suoi umili, sono una delle cifre che saranno anche di Pasolini e che giocheranno, insieme alle tante suggestioni letterarie, a popolare tutto il suo cinema.
Insieme agli amati manieristi, a Pontormo soprattutto (in mostra bellissimi disegni a sanguigna dei contadini languidi, quasi sfiniti, per la villa di Poggio a Caiano).
E poi il tema del dolore, della Pietà, delle Deposizioni, soprattutto il dolore della Madre (è sua madre Susanna, che il lutto di un figlio ha già vissuto e un altro ne vivrà, a prestare il volto a Maria nello strepitoso “Vangelo secondo Matteo”).
E tutto è al vaglio della presenza fondamentale dei corpi, dei corpi “santi” che sono quelli degli uomini perché è la loro finitezza, la loro mortalità, in una parola, la loro unicità che li fa santi. E -come recita il titolo della mostra – tutto è santo, in primis quello che attiene all’eros, dove si tocca la fusione tra due corpi, momento massimo dell’estasi che a un essere umano è dato provare…
Giuseppe Garrera ha parlato di Pasolini con l’affetto e la passione di un conoscitore (oltre che collezionista), dunque di persona che segue le sue tracce, le conserva e – come in questo caso – aiuta a metterle in gioco incrociando i contesti: opere di pittura, scultura e fotografia. Sono le foto di Pasolini di Dino Pedriali, ma anche quelle delle prefiche e del mondo rurale di Franco Pinna, quasi sovrapponibili con le foto di scena dei film di Pasolini.
Un racconto fortemente coinvolgente, svolto in sale il cui allestimento stimola il confronto tra i vari linguaggi, talvolta di immediata comprensione, talvolta spiazzanti.
Ci riferiamo all’ultima sala, quella dedicata a Narciso, con lo splendido Caravaggio (attribuzione dibattuta) della collezione di Palazzo Barberini e le foto di Pedriali che ritraggono Pasolini completamente nudo seduto nello studio della Torre di Chia, acquistata nel 1970 nella campagna viterbese. È un eremita che legge e studia e nel “contemptus mundi” si contempla, come il San Girolamo nello studio, come Narciso nell’acqua dello stagno.