Via Panisperna ha lo stesso andamento di secoli fa e dal Viminale scende per poi risalire verso l’Esquilino, avendo come fondale la chiesa di Santa Maria Maggiore.
Le interpretazioni del toponimo sono diverse: la più accreditata indicherebbe la consuetudine delle clarisse del monastero adiacente la chiesa di San Lorenzo, di distribuire “panis et perna”, ossia pane e prosciutto, nel giorno della festa del santo, il 10 agosto.
Da qui siamo partiti per la nostra breve passeggiata. S. Lorenzo in Panisperna è sorta sul luogo del martirio del santo, secondo la letteratura agiografica, e cioè il palazzo dell’imperatore Decio. Dell’antica chiesa, costruita, pare, nel VI secolo, riedificata nel XIV e del suo monastero, prima benedettino poi dell’ordine di Santa Chiara, nulla è rimasto. Quello che vediamo oggi è un suo rifacimento di metà ‘700, che rese uniformi le cappelle e omogenea la decorazione. Due secoli prima però la chiesa, in condizioni di degrado, era stata restaurata e decorata per volontà di due cardinali titolari: il coltissimo Guglielmo Sirleto e Domenico Pinelli. Fu quest’ultimo a commissionare nel 1591 l’enorme affresco del presbiterio – unico superstite del rifacimento settecentesco – al pittore tardo manierista Pasquale Cati da Jesi. La scena del martirio di San Lorenzo è raffigurata secondo la consueta iconografia, con il santo disteso sulla graticola e circondato dai suoi aguzzini, ma il dramma è stemperato dall’atteggiamento estatico del santo e dai tipici colori pastello di tanta pittura dell’epoca di Sisto V.
Una curiosità: in una delle cappelle fu sepolto per brevissimo tempo, prima di essere trasportato in Svezia, il corpo di una delle più grandi sante del medioevo: Santa Brigida.
La chiesa non è una parrocchia ma una rettoria e il rettore, Don Pino, ci ha introdotti con estrema cortesia al luogo del martirio, una sorta di cripta – lapidario, con un’edicola in cui si trova il “forno” in cui fu bruciato il santo.
Fatta un po’ di strada, abbiamo poi visitato S.Agata dei Goti, nata come chiesa di culto ariano.
Fondata dal “magister militum” Ricimero negli anni caotici appena precedenti la definitiva caduta dell’impero romano d’Occidente e dedicata al Salvatore. Alla fine del VI secolo fu riconsacrata al cattolicesimo da papa Gregorio Magno che interpretò un fatto curioso (una scrofa che scorrazzava in chiesa, dalla quale venne scacciata per intervento di una nuvola profumata) come un invito a riconsegnare la chiesa al vero culto e a liberarla dall’eresia. Essa venne così ridedicata a Sant’Agata, martire catanese. Dell’antica chiesa rimangono lacerti del bellissimo pavimento cosmatesco, ricomposti. Molto si è perduto nel ‘600 quando i cardinali Francesco e Antonio Barberini decisero di ridecorare le pareti e il catino absidale, incaricando il pittore cortonesco Paolo Gismondi.
Stavolta è stato un sacerdote ad accoglierci con cortesia e interesse e – nel salutarci – ci ha ricordato come nella chiesa siano presenti reliquie di martiri greci traslate dalle catacombe di S. Callisto.
Santi, martiri, reliquie, custodi del sacro: paradigma fondativo (e vincente) della religione cattolica nella sua fase di ascesa in un mondo in cambiamento. Entrambe le chiese in fondo raccontano di questo.
Una bellissima mattinata, trascorsa in compagnia della nostra guida Rossella Faraglia, che ci ha accompagnati alla scoperta di luoghi poco conosciuti, sorprendenti e affascinanti.