Maschere, pubblico, attori e architetture. Questi gli ingredienti principali della mostra all’Ara Pacis sull’antico teatro greco e romano, con affaccio sul mondo etrusco. Impossibile riassumere quanto in essa contenuto: i pezzi sono di un interesse e di una bellezza tali da rendere difficile anche un breve elenco e l’invito per chi non l’ha vista è di andare, entro il 17 novembre.
Per nostra fortuna, siamo stati accompagnati dalla sicura parola di Sara Millozzi, che ci ha regalato una vera e propria lezione sul teatro antico ripercorrendo storie e miti che, con differenti declinazioni, sono stati rappresentati su palcoscenici greci, magno-greci, romani.
Come si sa, tutto ebbe inizio con Dioniso, il dio greco che muore e rinasce ed è perciò legato alla ciclicità della vita, nonché all’ebbrezza. I riti e i cortei a lui dedicati dettero vita al ditirambo, una sorta di canto solista, alla tragedia, che introduce il coro nella struttura ditirambica, e infine alla commedia. La commedia sarebbe in particolare nata da processioni falliche, le falloforie.
Chiaramente distinte le due rappresentazioni: per i Greci la tragedia è correlata ai contenuti del mito, la commedia trae la sua materia dal contesto sociale e politico.
Lungo il percorso espositivo si notano diversi reperti di particolare interesse, primo fra tutti uno splendido cratere apulo a volute e a figure rosse del V sec. a.C. con scene teatrali tratte, nuovamente, dal mito di Dioniso, il cosiddetto Vaso di Pronomos, rinvenuto presso Ruvo di Puglia e conservato al Museo Archeologico di Napoli. Di raffinata bellezza sono i personaggi che sorreggono le maschere teatrali, pronti a entrare in scena. Fra tutti spicca l’elegante Pronomos, suonatore beotico di aulos, prim’attore nella vicenda narrata.
Ma quanto costava assistere ad una rappresentazione in Grecia? Non poco, due oboli (circa un terzo della paga giornaliera di un operaio). E non era per tutti, potevano accedere solo i cittadini maschi liberi con diritto di voto ‘democratico’.
Un salto in avanti di un paio di secoli ed eccoci alla Roma repubblicana, il cui teatro ha accertate origini etrusche: musici e danzatori chiamati a Roma per celebrazioni atte a propiziare la fine di eventi pestilenziali sono i padri dei ‘ludi saeculares’. Di importazione magno-greca è invece la farsa fliacica, un genere comico in cui gli attori recitavano con maschere e costumi grotteschi in situazioni ispirate alla ‘commedia nuova’ nella quale predominano racconti di vita quotidiana.
I teatri della Roma repubblicana erano mobili e in legno. Bisogna attendere Pompeo per l’inaugurazione del primo teatro stabile della città, benedetto dai vaticinii degli auguri e, soprattutto, dalla sagace idea del condottiero di edificare sopra la cavea un tempio dedicato a Venere vincitrice, una sorta di ‘fatto compiuto’ verso l’occhiuto e severo sguardo del Senato. Era caratterizzato da un enorme portico dietro la scena, in questo era dunque lontano dalla struttura del classico teatro greco che non era dotato di un portico.
Una bella ricostruzione virtuale restituisce la vastissima area del Campo Marzio meridionale in cui era situato l’enorme complesso, sovrapponendola alla città moderna. Dopo quello di Pompeo ci furono i teatri di Marcello, la cui costruzione fu iniziata da Cesare e completata da Augusto, e infine quello di Balbo. Di tutti sono presentate le ricostruzioni in scala.
E a proposito di teatro romano non possiamo non ricordare Nerone, il suo attore protagonista più famoso… Citiamo a tale proposito un caustico e lapidario giudizio di Tacito riferito a una celebre esibizione teatrale dell’imperatore:
“in ginocchio, Nerone attendeva con finto timore il verdetto dei giudici. E la plebe romana scandiva acclamazioni e applaudiva a ritmo. Poteva sembrare che gioissero, e forse si divertivano davvero, incuranti della vergogna che ricadeva su tutti.”