| Visite guidate

Foto della Visita al Museo Forma Urbis – 6 Aprile 2024

Faceva un caldo quasi da “cambio di stagione” ieri mattina quando abbiamo visitato, nel Parco del Celio, il nuovo Museo della Forma Urbis. Un museo sui generis, che situa quanto possibile dei resti della Forma Urbis severiana, databile ai primi anni del III secolo, sotto un pavimento di vetro trasparente, sovrapposti direttamente a una riproduzione della pianta di Giovan Battista Nolli, della metà del XVIII secolo.

Su una parete, la riproduzione fotografica del muro dell’Aula del Tempio della Pace dove essa si trovava originariamente, con i caratteristici “buchi” per l’apposizione delle lastre.

Una testimonianza fondamentale per capire lo sviluppo edilizio e la densità abitativa della città di Roma nella sua massima estensione, e che si ritiene avesse anche una funzione catastale. Ma anche ovviamente, una funzione celebrativa del potere di Roma, che ha da sempre prediletto le immagini per mostrare la sua magnificenza. Accompagnati dalla competente guida di Giulia Facchin, esperta di archeologia del paesaggio, ed Alessandro Mortera, archeologo studioso di marmi, abbiamo passeggiato sui frammenti della Forma Urbis e poi, all’esterno, tra i numerosi reperti provenienti in gran parte dall’area della via Marmorata e in parte da quanto rinvenuto negli sventramenti di Roma capitale.

I numeri testimoniano l’imponenza della mappa imperiale: 150 lastre di marmo su una superficie di 13 per 18 metri, lastre che finirono in parte frantumate e usate come materiale da costruzione per i lavori farnesiani del giardino sul Tevere.

La pianta marmorea è entrata a far parte delle collezioni dei Musei Capitolini dal 1742 ma quello che rimane oggi è circa un decimo del totale: delle centinaia di frammenti solo circa 200 sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.

Ascoltando e seguendo le nostre guide abbiamo potuto riconoscere quartieri, insulae, horti, templi con le loro vicende stratificate nei secoli.

Si ritrova anche traccia di opere ormai perdute, come il ‘Settizodio’ innalzato da Settimio Severo, una sorta di monumentale ninfeo eretto come fronte monumentale dei palazzi severiani sul Palatino.

Di grande interesse è stata anche la passeggiata archeologica nel piccolo parco antistante il museo, allestito con cura tale da favorirne la leggibilità. Lungo il percorso, blocchi di marmo bianco o colorato, grezzo o semi lavorat, provenienti letteralmente dai quattro angoli dell’impero e trasportati nel Mediterraneo su grandi navi. A Porto, avveniva il trasbordo su navi che risalivano il Tevere, giungendo, appunto, alla Marmorata. Alessandro ci ha parlato della loro provenienza, principalmente dall’Africa, dall’Asia Minore e dalla Grecia, del loro utilizzo e tecnica di lavorazione (interessantissimo un capitello appena sbozzato). Frammenti imponenti di un soffitto a lacunari, pezzi altrettanto maestosi del maestoso Tempio dei Castori nel Foro Romano, e infine, molto avanti negli anni, un curioso anemoscopio di età tardo-antica con le personificazioni quasi grottesche di sedici venti, dai capelli scarmigliati e le guance gonfie. Testimonianze diverse di un patrimonio straordinario.

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