La visita di oggi al Quartiere Ponte Mammolo chiude un ciclo molto interessante che abbiamo fatto nel tempo accompagnati da Alberto Coppo, un viaggio di scoperta attraverso i quartieri progettati nel secondo dopoguerra dallo Stato italiano, tramite il piano di intervento INA-Casa.
Questo piano di ricostruzione operò su tutto il territorio nazionale, tra il 1949 e il 1963, e aveva lo scopo di realizzare un’edilizia pubblica dignitosa per i ceti popolari. Le soluzioni ubanistiche sono apparentemente semplici ma di grande varietà e soprattutto parlano di una stagione progettuale che, oltre agli ambiti abitativi, tiene sempre presente la vivibilità, la facilitazione delle relazioni sociali, la condivisione degli spazi comuni. Come si sa, questo processo si è interrotto ben presto ed è dunque tanto più istruttivo vedere, osservare in dettaglio, conoscere.
Alberto Coppo ci ha accompagnato in un percorso ad anello con piccole deviazioni per le vie del quartiere, partendo da (e ritornando a) Via Ripa Teatina nei cui pressi si concentrano i principali servizi pubblici. Il tutto a pochi passi dalla fermata della metropolitana e dal traffico dell’arteria stradale di Via Tiburtina. Ma addentrandosi nel quartiere, suoni e immagini cambiano quasi repentinamente, e durante il percorco si distinguono principalmente due tipologie abitative. La prima, sorta su progetto di Luigi Vagnetti, si caratterizza per semplici moduli edilizi a due piani, armoniosamente sfalsati con elementi ripetuti quali logge e balconi. La seconda, più innovativa, su progetto di Giuseppe Vaccaro, nasce dall’idea di “unità di buon vicinato”: nuclei di 8 appartamenti con giardini e servizi comuni (cantine, lavatoi) atti a favorire una convivenza il più possibile a misura d’uomo. L’area è costituita da un terreno che degrada verso l’ansa del fiume Aniene, creando una ottima simbiosi tra architettura e natura. La copertura a falde alternate crea inoltre un interessante gioco visivo di chiari e di scuri.
Similmente agli altri quartieri INA-Casa della capitale, anche qui viene fatto uso edilizio dei blocchi di tufo e dei mattoni di laterizio.
Nel corso dei decenni, alcuni ambienti adibiti ai servizi comuni hanno lasciato il posto agli irrinunciabili parcheggi auto, molto è stato lasciato in condizioni di degrado, ma il quartiere ha mantenuto quello spirito di borgata integrata ma non assimilata alla città. Così, capita di incontrare casualmente in strada alcuni residenti che raccontano, con gli accenti di chi del quartiere è protagonista quotidiano, quello che è e quello che fu, storie di assegnazioni e di occupazioni…
Da gennaio ripartiranno altre passeggiate alla scoperta di una Roma quasi sconosciuta e in cui, come qui a Ponte Mammolo, nonostante i guasti urbanistici e i tanti problemi sociali, ci si sorprende di ritrovare ancora, nella facilità dello scambio umano, i segni dell’idea virtuosa del progettista.