Terzo e ultimo appuntamento delle mostre incentrate sulla figura di Pier Paolo Pasolini, nel centenario della nascita.
Nuovamente accompagnati da Giuseppe Garrera, uno dei curatori delle mostre e fra i maggiori esperti e appassionati dell’intellettuale friulano, abbiamo visitato le sale del MAXXI allestite per illustrare la frenetica attività culturale del suo ultimo anno di vita, il 1975.
Un anno di prorompente ispirazione a tutto campo, cinematografica e letteraria, come testimonia la sua agenda di quel fatidico anno, fitta di impegni e di appuntamenti. Il tema principale, che si coagula in due opere capitali, il film “Salò e le 120 giornate di Sodoma” e il libro “Petrolio”, sono la sostituzione dei valori di una società arcaica con quelli di una società totalmente dominata dal consumo e dalla mercificazione di tutto, anche dei corpi.
Non a caso, oltre all’agenda, uno dei primi pezzi esposti è Il romanzo-sceneggiatura “Il padre selvaggio” in cui i difficili rapporti fra un professore bianco e i suoi alunni africani sono la rappresentazione dei guasti prodotti da decenni di colonialismo.
Poi la serie degli “Scritti Corsari”, riflessioni generalmente legate agli effetti nefasti dell’emergente consumismo: l’omologazione dei gusti, l’abbassamento della temperatura delle passioni, l’infelicità dei nuovi poveri che non beneficiano più, se così si può dire, dell’ignoti nulla cupido perché tutto è noto e, attraverso la televisione, tutto è desiderabile. Ma tutto costa e pur se a tutti è noto, a pochi è accessibile.
Strettamente correlati sono anche gli articoli della rubrica “La Pedagogia” sulla rivista “Mondo”, nei quali Pasolini immagina di dialogare con un ragazzo napoletano, Gennariello, simbolo di una città che, per sua stessa natura, è l’antitesi dell’omologazione culturale.
Commovente l’ultima intervista a Furio Colombo, apparsa con il titolo “Siamo tutti in pericolo”, una sorta di testamento spirituale premonitore di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Questo e molto altro abbiamo ascoltato dal racconto di Giuseppe Garrera che ci ricordava anche la passione viscerale di Pasolini per le automobili e per il calcio, con la famosa partita fra troupe cinematografiche nella quale Bernardo Bertolucci schierava subdolamente in campo una giovane promessa sportiva, tale Carlo Ancelotti. Pasolini “sapeva”, anche se si seppe in realtà molto dopo, che la vittoria era stata rubata (e pare che non lo abbia mai perdonato a Bertolucci… )
Una vita pienamente vissuta, illuminata dagli scritti postumi di Sciascia (forse l’intellettuale più prossimo politicamente a Pasolini) e Calvino, e una sensibilità sociale che ci appare tutt’oggi di straordinaria modernità, oltre che di leggendaria visionarietà.