Farfa in Sabina è il luogo in cui sorge l’abbazia omonima, fondata nel 550 circa da S. Lorenzo il Siro. Fra i primi esempi di vita cenobitica benedettina, fu distrutta dai Longobardi alla fine del VI secolo e fu ricostruita da S. Tommaso da Moriana (Morianne, in Savoia). I due santi compaiono nell’affresco della lunetta sopra il portale che si apre sul piazzale su cui affaccia la chiesa abbaziale. Questa, a parte la porta di marmo, è una costruzione che si può datare dalla fine del ‘400 alla fine del ‘500.
Carlo Magno favorì l’abbazia, che si era messa dalla sua parte nella lotta contro i Longobardi, con diplomi di immunità che la rendevano giuridicamente indipendente dal potere religioso. Un vantaggio e una responsabilità allo stesso tempo che segnò politicamente Farfa come abbazia filo-imperiale, anche e soprattutto nel periodo della lotta per le investiture. Divenuta, insieme a Nonantola e Bobbio, abbazia imperiale, acquisì terre nelle Marche, in Abruzzo, nella Tuscia, persino in Lombardia, affermandosi come una stabile potenza feudale.
Una lunga battuta d’arresto si ebbe con l’incursione dei Saraceni che, seppure pare non abbia avuto un impatto devastante sulle fabbriche, provocò la fuga dei monaci. Bisognerà attendere l’XI secolo per una nuova fase dell’esistenza monastica a Farfa. Sono gli anni di Gregorio da Catino, prima copista dello scriptorium farfense (di cui abbiamo ammirato in biblioteca splendidi manoscritti) poi abate, che ebbe il merito di riorganizzare l’archivio farfense trascrivendo documenti fin dall’origine dell’abbazia.
Dopo il concordato di Worms alla “imperiale” Farfa toccò infine di sottomettersi al papato, mutamento di condizioni che determinò, soprattutto con l’istituzione della Commenda, un declino inarrestabile: l’azione economica degli abati commendatari molto spesso era rivolta al proprio beneficio piuttosto che a quello dell’Abbazia.
La commenda degli Orsini alla fine del ‘400 è quella che più di tutte ha connotato l’aspetto esterno dell’edificio ecclesiale come lo vediamo oggi. All’interno invece, databili alla fine del ‘500, commenda, a quel punto, Farnese, fittissimi affreschi con storie bibliche e raffinate e incredibili (per una chiesa) grottesche, soprattutto sulle volte a crociera delle navate laterali e nel presbiterio.
La guida locale, Claudio (purtroppo non ne sappiamo il cognome) ci ha aperto le porte del refettorio, della sala capitolare e infine della biblioteca, e con discrezione ma con grande competenza ci ha dato un vivace affresco della storia dell’abbazia. Ed Emanuele Gallotta, la nostra guida esperta in storie di costruzioni abbaziali, ci ha perfettamente illustrato quello che ormai non si vede più se non in minima parte: l’edificio medievale con la sua magnificenza e con le sue particolarità costruttive, per una volta desunte non da esempi francesi, ma tedeschi, anzi teutonici (monaci teutonici giunsero del resto a Farfa al tempo dell’abate Francesco Carbone Tomacelli, verso la fine del ‘300). Il cosiddetto “Westwerk”, ossia quell’avancorpo tipicamente carolingio con due torri, rappresentato in alcuni rilievi e in affreschi ma non più visibile.
Un pallido ricordo della funzione di snodo mercantile è nel piccolo borgo che si allinea in stradine parallele di fronte all’Abbazia, mentre un piacevolissimo luogo di rinfresco è l’agrumeto in cui non troppo invasivamente sono sistemati tavoli con vista sul campanile e le sue trifore, pallido ricordo dell’avancorpo medievale.