Siamo stati a Palazzo Cipolla in via del Corso a visitare la mostra di un poliedrico artista francese della prima metà del ‘900 che, grazie alla capacità di cogliere le atmosfere e le intensità cromatiche della luce, fu definito il ‘pittore della gioia’: Raoul Dufy.
Una definizione forse semplicistica che in realtà nasconde una ricerca artistica complessa, legata al crogiolo culturale parigino di fine ‘800, in cui si mescolavano gli influssi dei grandi maestri contemporanei, Monet, Cezanne e Matisse in primis, ma anche Renoir, Seurat… La sua pittura è infatti un condensato di suggestioni diverse, dall’impressionismo al fauvismo, all’avanguardismo, con una riconoscibile cifra personale nelle rappresentazioni ad incastri di colore, in cui l’intensità tonale e la stesura a grandi macchie hanno valenza costruttiva. È anche evidente l’influsso cubista dell’amico Georges Braque, che però in Dufy non arriva mai oltre i limiti della riconoscibilità dell’oggetto.
Il percorso della mostra parte dagli esordi del pittore e si articola in sale che illustrano le diverse tematiche care all’artista: le marine e le vedute dei litorali della Normandia e della Costa Azzurra, i campi di grano, il cui giallo intenso ci ha riportato alla mostra di Van Gogh, gli interni del suo atelier dall’atmosfera sospesa e quasi metafisica, le immagini dei cavalli al galoppo, emblema di mondanità e metaforico progresso negli anni della Belle Époque.
Ma Dufy è noto anche per la produzione nel campo della xilografia, con stampe di sapore esotico e arcaico. I suoi pattern innovativi, come cerchi concentrici tagliati da linee verticali, una sorta di art déco ante litteram, le complesse stampe a più colori, gli esiti prestigiosi per la casa di moda di Paul Poiret, fanno oggi comprendere come la separazione forzata tra le espressioni artistiche, operata dalla critica a partire dai tardi anni ‘30 del ‘900, sia ampiamente superata.
La visita si è conclusa davanti al fiore all’occhiello della mostra: il bozzetto della “Fata Elettricità” opera realizzata nel quadro dell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. Una grande decorazione storica e poetica che evoca l’invenzione dell’elettricità con i protagonisti storici rappresentati in un fregio apparentemente fumettistico, che racconta una sorta di passaggio di consegne fra mito e scienza. “Bozzetto” sembra quasi un ossimoro per il grande dipinto ma non se si pensa che l’opera finale è di dimensioni impressionanti: 1 000 x 6 240 cm, 624 metri quadrati. Oggi conservata, e naturalmente inamovibile, nel Musée de la Ville de Paris
La nostra guida Matteo Piccioni nel corso di due ore di intensa narrazione ha esposto con consueta maestria quanto sopra e molto altro.
Noi concludiamo prendendo a prestito la frase, perfettaemente riassuntiva, dello stesso Dufy: “Volevo essere decorativo, ovvero pittorico”.