Luogo comune, quasi banale: Van Gogh è un artista che affascina e coinvolge profondamente. La visita di ieri mattina alla mostra allestita in Palazzo Bonaparte lo ha immancabilmente confermato.
Le opere che abbiamo potuto ammirare vengono dal Museo Kröller Müller di Otterlo, un museo che i curatori della mostra hanno voluto introdurre “al femminile”, con lo stupendo ritratto di Eva Callimachi Cariagi di Henry Fantin Latour, dono di Anton Kröller a sua moglie Helene Müller. Helene lo amò moltissimo, forse perché la spirituale bellezza della donna ritratta sembra espressione del motto spinoziano che si scelse: “Spiritus et materia”.
Accompagnati dalla maestria di Maria Stella Bottai abbiamo seguito il dipanarsi del ‘fil rouge’ biografico di Vincent Van Gogh, con dipinti e disegni che, in diversi modi, fanno da sfondo alle sue vicende personali e che hanno reso celebre il museo olandese.
Maria Stella ci ha messo in luce alcuni punti sostanziali della visione dell’arte di questo artista straordinario mentre noi potevamo con relativo agio (la mostra è sempre affollata) ammirare la forza, la bellezza, il dolore dei suoi dipinti, dei suoi disegni, delle parole precise e penetranti delle lettere, che scorrevano in pannelli posti con saggezza lungo il percorso. Uno dei punti: la costante attenzione al mondo del lavoro visto con la umile sensibilità dei protagonisti, quasi con i loro occhi: le espressioni di fatica, gli ambienti malsani sono rappresentati in un amalgama di cromie terrose. Un realismo diverso da quello che nobilita e quasi sacralizza il lavoro nelle opere di Millet o che si colora di accezioni allegoriche come in Courbet, per quanto entrambi siano maestri di riferimento iniziale.
Il Van Gogh più universalmente conosciuto lo si ritrova poi nelle opere parigine e della Provenza, dove la tavolozza si schiarisce e, si potrebbe dire, si “illumina d’immenso”.
Molto si è dibattuto su questa svolta artistica, favorita da diversi fattori: maggiore serenità lontano dalle influenze familiari, diversa luce dei luoghi, nuove contaminazioni in ambito artistico, come l’amicizia con Toulouse-Lautrec.
Purtroppo la serenità per Vincent non dura a lungo e la pratica ossessiva della pittura diventa compulsiva e così ciò che più ama, al contempo gli brucia l’anima.
I difficili mesi di convivenza con Gauguin e i diversi ricoveri in centri psichiatrici sono un campanello d’allarme premonitore: muore (forse) suicida nel 1890, seguito pochi mesi dopo dal fratello Theo, sicuramente il suo più grande affetto oltre che supporto di vita.
Con due donne abbiamo iniziato il percorso, entusiasmante e dolente, della vita e delle opere di questo grandissimo artista e con una donna abbiamo terminato: se oggi Van Gogh è Van Gogh lo si deve unicamente alla passione lungimirante di sua cognata Johanna Bonger che si trovò a gestire una eredità artistica, tanto copiosa quanto bistrattata, e lo fece.