Il primo giorno della merla ha mantenuto le promesse e, mitigando le preoccupazioni per il cambiamento climatico, ci ha offerto cielo terso e freddo pungente su Palazzo Barberini dove ci siamo raccolti, pochi ma buoni, per andare a visitare la mostra “Annibale Carracci. Gli affreschi della cappella Herrera”. L’intento, ambizioso e pienamente riuscito, è quello di rimettere insieme gli affreschi staccati nell’’800 da una cappella di San Giacomo degli Spagnoli quasi due secoli fa e conservati oggi tra Madrid e Barcellona, e ricucirne il contesto materiale.
Annibale Carracci aveva montato i ponteggi per la cappella Herrera nel 1602, appena dopo aver smontato quelli che gli erano serviti per dipingere nella Galleria di Palazzo Farnese i seducenti amori degli dei. Qui si trattava invece di storie di dimessa sobrietà di un poco conosciuto santo francescano, Diego di Alcalà, cui il prestigioso banchiere Juan Enríquez de Herrera aveva deciso di dedicare la cappella. Annibale è stanco, malato, lavora ai disegni, ai cartoni e forse sale un poco sui ponteggi per rivedere, rifinire ma il lavoro è svolto quasi interamente da Francesco Albani.
La chiesa subisce un lento declino, gli affreschi rischiano di essere persi e si decide allora per lo stacco e la “spedizione” via nave dei grandi telai su cui sono stati assicurati i dipinti.
Ora sono di nuovo insieme e la cappella “virtuale” riproducente l’originaria è collocata in un ambiente che precede immediatamente la sala con il “voltone” barocco di Pietro da Cortona e fa un certo effetto pensare che il malinconico, grandissimo artista che nella cappella Herrera dava le sue ultime pennellate, è stato l’ispiratore, il punto di partenza imprescindiblile per il rutilante soffitto barocco con la gloria dei Barberini.
Per arrivare alla ricostruita Cappella bisogna attraversare tutta un’ala del piano nobile di Palazzo Barberini, “inciampando” nei capolavori della Galleria Nazionale di Arte Antica. Andando per ordine così come ci hanno chiamato, ci siamo soffermati a scambiare sguardi con: Andrea del Sarto, Lorenzo Lotto, Piero di Cosimo, Raffaello, Hans Holbein il Giovane, Bronzino, Vasari, Jacopo Zucchi, Andrea Sacchi, e poi Caravaggio, Saraceni, Serodine, Borgianni, Ribera e infine gli emiliani…
A circa metà percorso, loro, i Barberini, Antonio, Francesco e soprattutto Maffeo, Urbano VIII, ritratto innumerevoli volte dal suo artista di fiducia, incontrato in gioventù e mai più abbandonato: chi altri avrebbe potuto restituire il suo carisma, bonario e autorevole, il suo sguardo sagace, più vero del vero? Non ne diciamo il nome, ma l’avrete intuito, la madre indispettita per le sue intemperanze una volta lo apostrofò “il padron del mondo” …