La visita di ieri si è svolta nel Santuario della Scala Santa, più precisamente nella cappella del Sancta Sanctorum, così descritto: “Non est in toto sanctior orbe locus”, non c’è in tutto il mondo luogo più santo.
Oratorio privato dei papi fino al Rinascimento, scrigno prezioso all’interno del grandioso Patriarchio, ovvero l’insieme degli edifici che si trovava attorno alla basilica di San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma.
Un viaggio nel Medioevo di cui la nostra guida, Rossella Faraglia, ha ripercorso le tappe fondamentali, soffermandosi sul momento in cui entra in scena papa Orsini, Niccolò III, (1277-1280) che riedificò la cappella e, non badando a spese, la fece decorare e ornare “all’antica” (che all’epoca includeva, oltre al classico anche il paleocristiano…).
Gli affreschi, con lo straordinario “ritratto” del papa donatore, con il Cristo in maestà, con le storie dei martiri, nella loro integrità sono stati a lungo considerati, prima della scoperta dell’Aula gotica ai Ss. Quattro Coronati, l’unico esempio romano di quella pittura moderna che ha la sua massima espressione ad Assisi. Più tradizionale lo splendido mosaico con il Pantocratore di derivazione bizantina, in cui le tessere di marmo e a pasta vitrea sono poste in modi e stili diversi ma con un effetto mirabile. Infine, ma solo in ordine di citazione, il pavimento cosmatesco a doppio “quincunx” (cinque dischi di porfido e serpentino).
Molte sono le reliquie che tuttora si conservano sotto l’altare, all’interno di un arca di cipresso di epoca carolingia, sebbene la maggior parte dei preziosi reliquiari che le contenevano sia stata trasferita a inizio ‘900 in Vaticano. Oggi le reliquie, frammenti della ‘vera croce’, resti biologici di Santi, capelli della Vergine, ecc, sono tuttora conservate nell’arca di cipresso di Leone III, ma in reliquiari moderni. In una teca appesa a una parete, c’è persino una porzione della panca dell’Ultima Cena, insomma una miriade di reperti che fondono storia, religione e leggenda.
Ma la testimonianza più celebre e antica che si conserva è quella dell’icona del SS. Salvatore, detta ‘Acheropita’ (non eseguita da mano umana). Rappresenta Cristo seduto in trono e benedicente – ormai l’antica immagine è ridotta a un fantasma, sotto la “coperta” dipinta e a lamina d’argento che la protegge – che incontrava l’altra icona celeberrima, la Vergine “Salus Populi” il 15 agosto, giorno dell’Assunzione. Ma più volte esposta per scongiurare minacce alla città come, al tempo di Papa Stefano II, quella dell’invasione dei Longobardi.
Quanto esposto è solo un piccolo estratto di quanto ascoltato, una visita che ha illustrato un percorso storico ricco di aspetti sorprendenti, in parte trascurati o – in generale – poco conosciuti. Nonostante tanti sforzi, il Medioevo rimane fuori dalle rotte del mainstream (in parte: per fortuna).