Un po’ perché motus in fine velocior, un po’ perché di zebre nelle rappresentazioni non ce ne sono moltissime, un po’ perché la volpe scappa e non si fa fissare in immagine, questa newsletter, ultima della serie “Animali dalla A alla Z”, sarà più breve e meno ricca di illustrazioni. Prendetela come un puntale leggero su un albero di Natale fatto di simboli e immagini…
Per essere intelligente è intelligente la volpe, altrimenti non potrebbe avere la qualità per la quale è più nota, la furbizia, spesso e volentieri associata alla malignità. E il furbo, siccome è intelligente, riesce a volgere in vantaggio anche situazioni per lui scomode, ma per fortuna (dei non furbi) spesso si copre di ridicolo quando non riesce nel suo intento: la proverbiale volpe che cerca di afferrare l’uva troppo alta.
Presente in moltissime favole a soggetto animale, da Esopo che, con giudizio morale un po’ monotono, dedica alla volpe quasi il 10 per cento del totale delle sue, a Fedro, a La Fontaine. Quest’ultimo, oltre che dai primi due autori, trae la sua materia da Lorenzo Bevilacqua, in latino Abstemius, che a metà ‘400 fu bibliotecario di Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino.
Molte le espressioni proverbiali, una fra tutte: «πολλ’ οιδ’ αλωπηξ, αλλ’ εχινος εν µεγα» ovvero “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande” in un frammento di Archiloco, poeta greco del VII secolo a.C., allusivo all’astuzia della volpe e alla capacità del riccio, con una sola mossa, di neutralizzare qualsiasi nemico. Forse qualcuno saprà che questa sorta di aforisma ha fornito l’occasione a Isaiah Berlin per osservare le personalità della letteratura e della filosofia sotto l’ottica binaria monismo/pluralismo. Così, tra i “ricci” ci sono Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust, con “un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono”. Tra le volpi, Shakespeare, Erodoto, Aristotele, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce e Montaigne “che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contraddittori, magari collegati soltanto genericamente, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale ed estetico”. Vista la sua avversione per il pensiero unico, si può intuire che Berlin, sebbene auspicasse una permeabilità tra i due stati, si sentisse più vicino alle volpi.
I tanti bestiari medievali, per significare la diabolica (il diavolo si annida dovunque) capacità ingannatrice della volpe, descrivono una sua abilità, messa in pratica quando ha fame.
“Dopo aver trovato una terra dal colore rosso acceso, vi si rotola sopra, così da sembrare tutta insanguinata; poi si getta per terra come morta, trattiene il fiato e si gonfia tanto che quasi non respira più. Gli uccelli, vedendola giacere così gonfia e come insanguinata, e vedendo la sua lingua gettata fuori della bocca aperta, la credono morta e scendono e vi si posano sopra. Quella li ghermisce e li divora” (Fisiologo latino, Versio B, seguito da tutti gli altri).
Il romanzo della volpe (Le roman de Renart), non è propriamente un romanzo ma un insieme di racconti in lingua d’oil scritti tra XI e XII secolo che raccontano le avventure picaresche, vitalistiche e allo stesso tempo disperate, di Renart, la volpe, e dei suoi compagni, amici e nemici. Una chanson de geste all’incontrario, con un Orlando truffaldino e non troppo simpatico.
Il dipinto che appare nella copertina dell’edizione Sellerio della traduzione italiana, pubblicata nel 1980, è di Antonio Ligabue che ritrae la volpe predatrice molto spesso, quasi sempre con una gallina o gallo appena catturato in bocca, una delle tante presenze animali potenti e minacciose che popolavano i suoi giorni inquieti nella Bassa reggiana.
Decisamente più gentile è la volpe che incontra il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. È protagonista di un dialogo bello e struggente sul senso semplice e profondo delle relazioni.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo…”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “sei molto carino…”
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, sono così triste…”
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! scusa”, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
…..
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‘creare dei legami’…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire” disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”
L’addio è bellissimo e – a tenerlo presente – aiuta, nella vita.
“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale e’ invisibile agli occhi”
Ma è forse Mr. Fox, presenza animale nel regno di Narnia, creazione nata dalla penna di C.S. Lewis, film di Adrian Adamson, a impersonare l’ineffabile imperscrutabilità della volpe. La sua apparizione è salvifica per alcuni dei protagonisti, li protegge depistando i lupi della perfida regina Jadis, tuttavia noi che guardiamo siamo sospettosi: quegli occhi, quelle zampe sottili, quella voce (nel film originale è quella di Rupert Everett, ed è tutto dire…) sembrano sempre sul punto di volgersi a un movimento, a un comportamento, a un’inflessione opposti a quello che stiamo vedendo.
E non ci fidiamo. Facciamo male, Mr. Fox è leale fino alla fine ma, irriducibilmente ambiguo, non fa nulla per accattivarsi la nostra simpatia.