Un cielo di ottobre, azzurro con nuvole candide su cui si staglia il bruno del laterizio. Come dire: Roma.
Il grandioso complesso delle Terme di Caracalla, inaugurato nel 216 d.C., era all’epoca il più grande edificio termale del mondo, superato in seguito solo dalle Terme di Diocleziano. Venne costruito su una sorta di sostruzione a “tabernae” affacciata sull’Appia Antica, demolendo una parte del quartiere preesistente e obliterando una domus di età adrianea, oggi riportata alla luce e inclusa nel percorso di visita.
Decantate da poeti e viaggiatori per la ricchezza delle decorazioni e delle opere che le abbellivano (una sorta di museo ante litteram), erano manutenute ancora negli anni di Teodorico per poi cessare di funzionare a causa del taglio degli acquedotti nel VI secolo.
Le terme rappresentano uno dei tratti distintivi di civiltà dell’impero romano in cui la soddisfazione di un bisogno pubblico, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza, si univa alla pratica intelligente di un sano “otium” dopo i “negotia”. Esse si caratterizzavano per un’architettura con ambienti simmetrici che si potevano attraversare in una sorta di percorso rigenerativo del corpo e dello spirito: dopo la sosta negli ‘apodyteria’, spogliatoi, le aree della ‘sudatio’ per eliminare le tossine, le vasche del ‘calidarium’, ‘tepidarium’ e ‘frigidarium’. Infine l’olimpionica ‘natatio’. Ma c’erano anche biblioteche e vani per la semplice deambulazione.
La nostra guida, Giulia Facchin, ci ha vividamente rappresentato questi ambienti con i loro mosaici in marmo giallo antico, verde serpentino, porfido rosso e la vita che vi scorreva, compresa quella delle persone invisibili, gli schiavi che si occupavano del riscaldamento sotterraneo o ipocausto.
In questa occasione abbiamo goduto di una visita a due voci perché doppia era la tematica: all’interno del complesso sono presenti infatti opere di arte contemporanea dialoganti con l’attuale paesaggio.
Stella Bottai ci ha raccontato la loro genesi e le ragioni per la loro installazione nel complesso antonino man mano che si proponevano lungo il cammino: la ‘diagonale palatina’ di Mauro Staccioli, in acciaio corten caratteristico per la sua resistenza alla tensione fisica e alla corrosione, dal color rosso ruggine in apparente controsenso; i maestosi alberi in bronzo e alluminio di Giuseppe Penone, emblema della monumentalità della natura e dell’impronta decisamente piccola che l’uomo può in essa lasciare; il ‘terzo Paradiso’ di Pistoletto, una sorta di logo con tre cerchi intrecciati che l’artista ha riproposto anche altrove, lavorando con materiali del luogo: qui alle Terme erano naturalmente reperti antichi. Un invito alla scienza, alla cultura e alla politica a collaborare per restituire una vita sana nella Madre Terra. Una grande ambizione e un impegno etico oggi più attuale che mai.