Una mostra memorabile ma difficile da raccontare, tanto più fortunato il nostro gruppo ad avere una guida come Ada De Pirro che si interessa da un bel po’ di tempo del rapporto tra arte e scrittura.
Comune denominatore delle opere esposte, trecento, lungo un arco temporale dal ‘400 ai nostri giorni, lo ‘scarabocchio’. Sul termine, sul suo significato, sulle sue diverse possibili declinazioni ci siamo giustamente soffermati per una corretta fruizione della visita.
Dal suono quasi onomatopeico, lo scarabocchio indica anzitutto un groviglio di elementi dalla composita valenza artistica. Mentre nel Rinascimento molti sono gli schizzi, i bozzetti, le sinopie in cui l’artista liberava l’ immaginazione creativa o magari si riposava, con le avanguardie del ‘900 gli scarabocchi diventano opera d’arte vera e propria, non più elemento a latere.
Il concetto stesso di spontaneità – tratto fondante dello scarabocchio – cambia attraverso i secoli e se Leonardo espone l’idea del ‘disegno inculto’, ad indicare la libera stesura grafica che riesce a catturare, ad esempio, per la figura umana, movimenti e posture, Freud nutre un sospetto (se non una vera e propria avversione) per l’idea che si possa “spontaneamente” trasformare i dati dell’inconscio in una forma espressiva. I suoi seguaci, primo fra tutti Jung, elaborano invece il concetto positivo di “regressione controllata”, una sorta di semplificazione benigna che favorisce creatività e immaginazione.
Le opere si presentano su diversi supporti: dalla semplice tela bianca che a volte intimorisce per la indefinita (o definita) uniformità, al muro scrostato paradossalmente più rassicurante, supporti tipici delle tecniche incisorie, materiali più banali, a portata di mano…
Famosi e meno famosi gli artisti selezionati dai curatori: dal grafomane Giacometti al manierista Pontormo, dalla bottega di Giovanni Bellini a Picasso, da Dubuffet, con i suoi ritratti caricaturali di amici poeti, a Cy Twombly…
Particolarmente emozionanti le foto di Helen Levitt di bambini che disegnano con i gessetti sull’asfalto, immagini che hanno riportato molti di noi nostalgicamente indietro nel tempo.
Una mostra complessa perché è una sorta di rivisitazione della storia dell’arte vista dal lato ludico, spontaneo, primitivo, spiazzante e irridente. Nessuna progressione cronologica, solo i nessi individuati dai curatori tra i vari artisti, vicinanze nella creazione artistica che scavalcano secoli e sembrano parlare la stessa lingua.