Visita a una mostra che forse era dovuta da tempo a una figura giustamente definita “eccentrica”, quella di Giacomo Boni, contraddistinta dalle molteplici “A” di architetto, archeologo, artista.
Federica Di Folco, nel suo appassionante racconto svolto nelle quattro sedi della mostra, ci ha illustrato i vari aspetti della sua formazione e attività di studioso, in costante conflitto con la comunità accademica, di cui non fece mai parte nonostante i meriti sul campo, la carriera prestigiosa, i riconoscimenti ricevuti (2 lauree ad honorem a Cambridge ed Oxford).
Dirige gli scavi del Foro Romano dal 1898 applicando i principi dello scavo stratigrafico, si interessa alla datazione e alla funzione dei materiali rinvenuti nel contesto del loro ritrovamento, capisce l’importanza del musealizzare i reperti al fine di renderli fruibili al pubblico, il più possibile vicini al luogo del ritrovamento, si avvale della fotografia a titolo documentario e della stampa come mezzo divulgativo.
Piccolo-grande neo: non lascia alcun resoconto scritto del suo lavoro, a dimostrazione, appunto, di una scarsa propensione al confronto con l’accademia.
Dunque, abbiamo visitato l’Antiquarium, lo spazio museale ricavato in alcune sale dell’ex convento di Santa Francesca Romana e fino ad oggi, per lunghissimi anni, tristemente chiuso al pubblico;
il (cosiddetto) Tempio di Romolo nel quale è collocato il pallone aerostatico usato per le rilevazioni dall’alto – un drone ante litteram – a conferma delle sperimentali ed innovative indagini promosse dal Boni;
le Uccelliere e gli Orti Farnesiani, che l’archeologo ha curato anche sotto l’aspetto ornamentale e nelle varietà botaniche scelte, e dove riposano le sue spoglie a futura memoria. Luogo notissimo e tuttavia capace sempre di sorprendere per la straordinaria bellezza;
infine, non ultima, la Chiesa di Santa Maria Antiqua, il fiore all’occhiello dell’opera intera di Boni, che non esitò a far abbattere, anche a suon di dinamite, la chiesa barocca di Santa Maria Liberatrice che vi si era insediata dopo il crollo e l’abbandono. Al suo interno, un ciclo di affreschi fondamentale per la conoscenza di quel breve periodo in cui Roma fu, di nome e di fatto, bizantina.
Oltre tre ore di visita volate come un soffio grazie al consueto coltissimo (ma anche appassionante, divertente, commovente) racconto di Federica.