Le sale della Galleria Corsini sono una cornice perfetta per la prima mostra monografica su Plautilla Bricci e la sua “rivoluzione silenziosa” nella Roma del Seicento.
Una donna che non si sposò e non entrò in convento ma visse una lunga vita affermandosi senza clamore in diversi campi dell’arte.
Presupposto di base per l’affermazione del suo talento un padre del tutto originale (materassaio, pittore, commediografo, poeta, attore… ) che la introdusse in quella rete di contatti e committenze che il romanzo storico di Melania Mazzucco, l’Architettrice, ricostruisce in modo molto convincente.
Altro protagonista della vicenda di Plautilla è l’abate Elpidio Benedetti, mediatore tra l’Italia e la Francia, collaboratore e consigliere del cardinale Mazzarino, del quale è esposto in mostra un potente ritratto eseguito da Pietro da Cortona di materia pittorica quasi incandescente.
La carriera di Plautilla inizia con un dipinto devozionale, intorno a cui si sviluppa un’aura di miracolo, ma poi la si vede lavorare per opere via via di maggiore impegno, come lo stendardo processionale per la Compagnia della Misericordia di Poggio Mirteto, dipinto ad olio su lino che illustra la nascita e il martirio di San Giovanni e in cui la tensione del barocco si fonde con toni cromatici che richiamano al classicismo.
E, soprattutto, per la cappella di San Luigi, nella chiesa nazionale francese, di cui firma l’architettura scenografica e la pala d’altare.
Un’artista che guarda e prende a riferimento il lavoro dei suoi contemporanei, anche vicini di casa, come Giovan Francesco Romanelli, del quale è qui esposta, a confronto con una di analogo soggetto di Plautilla, una Madonna del Rosario, realizzata per l’ordine domenicano.
Ma l’opera pionieristica di questa artista non sarebbe forse tale se si trascurasse l’opera architettonica, sempre all’ombra dell’amico e mentore Elpidio Benedetti: la mostra si chiude infatti con una saletta dedicata alla Villa Benedetta, poi detta “del Vascello”, curioso edificio sulla sommità del Gianicolo purtroppo andato quasi completamente distrutto dalle cannonate dell’esercito francese nel 1849, ad epilogo della Repubblica Romana.
I disegni autografi testimoniano l’audacia architettonica, di presumibile retaggio berniniano, di una loggia semiellittica svettante su una sorta di parete rocciosa, l’unica che tristemente rimane.
Questo e molto altro ci è stato presentato con competenza da Gabriella Romano e da Rossella Faraglia che non hanno disdegnato degli ‘intermezzi’ su altre importanti opere della collezione permanente.Una miscela di sapori che è stata decisamente molto apprezzata!