Come riprendere oggi un vero processo di decolonizzazione e defascistizzazione in Italia?
È la domanda prima di tante domande non retoriche che si pone il collettivo di architettura, arte e pedagogia DAAR (Decolonizing Architecture Art Research) fondato da Hilal e Petti, presente in Quadriennale con un’installazione di foto di luoghi (in massima parte oggi in rovina) creati dal regime fascista.
Stessi temi, visti attraverso altri mezzi (la “camera analitica”), in “Pays Barbare” di Gianikian e Ricci Lucchi: ricostruzione e montaggio di immagini d’epoca raramente accessibili del passato coloniale in Libia, Eritrea ed Etiopia con un rovesciamento di significato rispetto all’originario intento colonialistico. Impressionante.
Poi la vasta tematica LGBTQ con il collettivo Tomboys don’t cry, che presenta video, gadget, sculture e l’icona in lacrime “Pravda”, dell’artista di origine bosniaca Rada Koželj, simbolo della lotta del movimento bosniaco Pravda za Davida.
Decolonizzazione e tematiche di genere o legate alle minoranze: temi attuali e qui fortemente propositivi, artisti giovani o giovanissimi.
Ma sono presenti anche le foto di Lisetta Carmi (classe 1924) e la ricerca di Irma Blanc (1934) sul segno e sul colore basata sul respiro, quasi come una pratica di meditazione. Ovviamente, blu: “Bleu Carnac” è il nome della serie delle 38 tele esposte.
Questo è solo un minimo accenno a a una mostra interessantissima e gigantesca che Stella Bottai ci ha fatto percorrere con leggerezza e profondità, qualità che formano il binomio che amiamo di più.
Due ore volate in un lampo e desiderio di tornare, rivedere, rielaborare il nostro contemporaneo visivo.