La metamorfosi è qualcosa di più di un cambiamento, non consiste semplicemente nell’evolversi ma piuttosto nel trasformarsi lentamente in qualcosa di totalmente diverso e tuttavia già presente in potenza. L’evoluzione della farfalla descrive un emergere che è soprattutto un esporsi, affinché qualcosa si mostri non come parte di ciò che è assente, né come indugio di qualcosa che sta per svanire, ma come un venire alla luce, un aprirsi.
La farfalla è l’esempio perfetto di cosa significhi metamorfosi, anche nella sua valenza perturbante. Niente è più lontano dalla sua leggerezza alata del verme grassoccio, sgraziato e vorace sotto le cui sembianze inizia il suo ciclo vitale. Ciclo vitale molto breve per giunta, dunque eccellente emblema di caducità, di transitorietà.
Nel libro dell’Antico Testamento che ha il suo nome, l’Ecclesiaste afferma: “Vanità delle vanità e tutto è vanità”. Il suo grido spazza come un vento l’arte del Seicento, secolo drammatico e pieno di contrasti, oltre che di guerre decennali a scala europea, in cui la meditazione sulla morte e sulla vanità è tema dominante. In particolare, nei dipinti di questo periodo, oltre agli arcinoti santi penitenti al cospetto di teschi e crocifissi, l’assunto è ben presente anche nelle nature morte che i ricchi borghesi di Fiandre e Olanda amano commissionare. Prodigi di abbondanza alimentare e floreale in cui però si annidano farfalle, bruchi, teschi. Farfalle. In ossequio a un codice di vita votato al successo materiale ma anche alla sanzione morale del divertimento che magari, chissà, ne può derivare.
In un certo senso legata alla cultura di provenienza dell’artista, il belga Jan Fabre, è la farfalla simbolo di morte appoggiata sul volto del Cristo del Sogno compassionevole (Pietà V), rivisitazione “scandalosa” della Pietà di Michelangelo, esposta alla Nuova Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia di Venezia per la 54a edizione della Biennale d’arte.
La stessa funzione ha la farfalla nel ritratto ritenuto di Ginevra d’Este, morta a 21 anni, eseguito da Pisanello intorno al 1445 e posto in apertura di questa newsletter.
Nel Fedro di Platone si legge: “Tutto ciò che è anima si prende cura di ciò che è inanimato e penetra per l’intero universo assumendo forme sempre differenti. Così, quando sia perfetta e alata, l’anima spazia nell’alto e governa il mondo; ma quando un’anima perde le ali, precipita fino a che non si appiglia a qualcosa di solido,e assume un corpo di terra che sembra si muova da solo, per la potenza dell’anima. Questa composita struttura d’anima e di corpo fu chiamata essere vivente, e poi definita mortale.”
C’è una fanciulla, protagonista di una fiaba molto nota, che si innamora di Amore, è osteggiata dalla madre di questi, Venere, e le tocca sopportare prove inenarrabili. Alla fine ce la fa, il lieto fine mostra Psiche (così si chiama) al banchetto degli dèi insieme ad Amore.
Psiche è raffigurata negli affreschi di Pompei come una fanciulla alata, simile a farfalla. Il termine stesso psyché significa farfalla; per questo nei monumenti antichi l’anima è rappresentata spesso con ali. Da qui l’analogia anima-farfalla, o soffio vitale sfuggito all’uomo in punto di morte. Apuleio scrive la storia di Amore e Psiche nel II secolo dopo Cristo, all’interno de L’Asino d’oro, e in questa storia l’attrazione descritta ricorda quella della falena per la fiamma, simbolo del convulso attaccamento all’eros: l’inclinazione aurea del volo si spezza e il movimento diventa un’ossessiva danza circolare, nell’illusione di avere a che fare con la luna o con le stelle, verso cui queste creature notturne, più antiche delle farfalle di milioni di anni, non cessano di orientarsi.
Il testo di Apuleio è del II secolo dopo Cristo.
In epoca moderna, a partire dal Rinascimento, il libro è stato ristampato innumerevoli volte, e i cicli di immagini dedicati alla storia di Amore e Pscihe sono numerosi. I motivi della sua fortuna sono diversi: anzitutto essa permetteva di alludere a prove e passaggi superati in vista di un premio finale, e dunque funzionava da esortazione ed elogio della virtù, e in secondo luogo per la possibilità di alludere al percorso platonico (e neoplatonico) dell’Anima verso l’Amore divino.
In un papiro conservato al Museo Archeologico di Firenze, quasi contemporaneo al testo di Apuleio, forse preparatorio per un’illustrazione di formato più grande, c’è una rappresentazione di Amore e Psiche. Lei ha già ali di farfalla.
Raffaello preferisce mostrarla come una giovane dalle forme perfette e delega le ali alle ancelle del banchetto nel lieto fine di cui sopra.
L’anima immortale consegnata da Dio ad Adamo in un – piuttosto goffo – mosaico dell’atrio della basilica di San Marco è invece un esserino con sottili ali di farfalla, leggermente goffe anch’esse.
Spettacolari ali di farfalla sono quelle degli amorini della Camera degli Sposi di Mantegna, nel Palazzo Ducale di Mantova, a significare vita imperitura per Ludovico II Gonzaga e Barbara di Brandeburgo.
Angeli e demoni. Sì perché abbondano ali di farfalle anche in raffigurazioni demoniache. Personificazioni del caos, i demoni hanno da sempre ispirato egregiamente gli ingegni dediti all’ibrido, al mostruoso, come Hieronymus Bosch.
Ma anche il demonio del meno noto Tommaso Salini sfoggia due grosse ali di falena, e fa da “pendant” della personificazione del Vizio nell’Apoteosi di San Nicola da Tolentino in S. Agostino a Roma
Le fate, eredi delle antiche Parche, sono esseri leggeri trasportati da ali di farfalla: l’illustratore Olivier Ledroit ne mostra un affascinante campionario.
Solo un minimo cambiamento di rotta e si è alle Fate – Winx, con la leggendaria Bloom dai grandi occhi turchesi …
Più o meno mentre scrivevamo, è apparsa sul palco di Sanremo Loredana Bertè con una corona di farfalle giapponesi.
Anche in Giappone alla farfalla (“chou”, in lingua giapponese) vengono attribuiti valori spirituali ma non solo: la sua grazia ed eleganza, nonché la sua caratteristica fondamentale, il cambiamento, la mettono in relazione con le ragazze innamorate o nella fase di passaggio verso l’età adulta. In generale è espressione del genere femminile (per questo le farfalle sono utilizzate di frequente nella decorazione dei kimono); simbolo anche di matrimonio o unione se raffigurate in coppia. E, come spesso accade in Giappone, non mancano le contrapposizioni tra un’immagine positiva ed una più oscura: le farfalle in coppia possono infatti rappresentare, in passato più di frequente, anche una coppia di amanti suicidi per amore.
Altra comparsa alata in forma, in qualche modo, canora. È il 1992 quando Giovanni Sala, esperto di lepidotterofauna, osserva nell’Appennino tosco-emiliano una farfalla non ancora classificata. La dedica a un cantautore che ama molto, Francesco Guccini, figlio dello stesso Appennino, leopardianamente cantore della caducità e del tempo andato – “che non ritornerà”. Il nome assegnato è “Parnassius mnemosyne Guccinii”.
A sua volta il cantautore dedica l’anno dopo un album alla farfalla. Questa è la bella copertina.