Riflessione intorno alle donne e alla perdita di controllo
A volte riusciamo a non parlare del nostro dolore, ma il corpo molto spesso ci tradisce, anche quando non vorremmo. Tutti conosciamo il doppio nodo che lega i nostri gesti ai sentimenti e sappiamo quanto la capacità, la possibilità stessa, di manifestare un sentimento attraverso l’espressione gestuale sia insita nella cultura di tutti e di ciascuno. Nonostante ciò, attraverso i secoli, la gestualità del dolore sembra appartenere esclusivamente al mondo femminile. Alle donne è riconosciuta la capacità – e dunque la possibilità e il diritto – di esprimere il sentimento di disperazione incontrollabile che si prova di fronte alla perdita. Sono le donne che da sempre piangono i morti e li accompagnano con i loro lamenti verso un altrove da cui non torneranno. Sono loro che, attraverso gesti riconosciuti dalla comunità, danno voce a qualcosa che sarebbe impossibile lasciare inespresso.
Si può dire dunque che da sempre esiste una gestualità legata al dolore e alla disperazione, codificata e mille volte raccontata nell’epica greca, luogo letterario in cui quei sentimenti trovano un nome e una descrizione “visiva”.
Ovidio racconta la reazione di Filomela dopo la violenza subita dal marito di sua sorella:
[…] Essa è presa da un tremito come un’agnella atterrita, che strappata alla bocca di un grigio lupo, ferita, non si sente ancora al sicuro, come una colomba che con le piume intrise del proprio sangue ancora rabbrividisce al pensiero degli avidi artigli da cui era stata afferrata. Poi quando torna in sé, stracciatasi i capelli scompigliati, percossesi le braccia, come una in lutto, tendendo le mani [….]
Proprio su quest’ultimo gesto descritto da Ovidio vorremmo soffermarci. L’autore dice che quello compiuto da Filomela è lo stesso gesto che compie una donna di fronte a un lutto.
E allora iniziamo con l’osservare quel repertorio inesauribile di emozioni rappresentate che si trova nei sarcofagi romani. Lo troviamo: è un gesto ampio, le braccia sono tese, gettate all’indietro, gesti di donne sconvolte dal dolore di una morte, spesso improvvisa, inaspettata, o a cui non si è mai preparati abbastanza. Sono gesti che creano un movimento nello spazio immobile del dolore. In un sarcofago romano conservato al Louvre, al centro della scena, una donna dalle braccia alzate rompe il silenzio composto di un lamento funebre. È così agitata da dover essere afferrata e bloccata da un’altra figura.
Lo troviamo ancora nel Rinascimento per un tema di derivazione classica tra i più rappresentati: il compianto sul corpo di Meleagro, giovane eroe morto vittima della propria madre, di un suo gesto incontrollato di rabbia e di vendetta. Un’altra donna, probabilmente la nutrice, scarmigliata e discinta a sottolineare la perdita di controllo, con la braccia protese e i palmi della mani aperte, irrompe sulla scena del compianto. Un gesto ormai convenzionale dunque, riconoscibile con immediatezza come il gesto di una donna di fronte alla morte improvvisa.
Il gesto del dolore incontrollato e incontrollabile, non presente nelle rappresentazioni del primo Medioevo, fa ritorno nel mondo delle immagini più tardi. Fu Nicola Pisano a recuperarlo, artista tra i primi a guardare i modelli antichi. Nel pulpito per la cattedrale di Siena, al centro del bassorilievo con la Strage degli Innocenti, ritroviamo quel gesto, immutato, restituito intatto dopo mille anni. Una delle madri esprime la propria disperazione per l’uccisione del proprio bambino alzando le braccia all’indietro.
Giotto lo riprende nel Compianto sul corpo di Cristo (in cui forse per l’unica volta il gesto è attribuito a un uomo, S. Giovanni Evangelista che, a causa della sua giovanissima età, può condividere con le donne la possibilità di esprimere il proprio sregolato dolore) a Padova, e nella Strage degli Innocenti ad Assisi.
Così la gestualità del dolore corre lungo il filo delle nostre culture condivise, contaminate, ibride arriva a noi potente con il Picasso di Guernica, nel 1937 e poco dopo, nel 1942, quando il fotografo e giornalista polacco Dmitry Baltermants giunto sulla scena di una strage nazista a Kerch, in Crimea, incontra una donna china sul cadavere di un uomo, forse un figlio: quella donna ha le braccia protese, piegata dallo stesso dolore delle sue antiche sorelle.