Non c’è altra epoca storica che come il Medioevo abbia saputo rendere protagonisti gli animali: qualsiasi sia l’opera d’arte, ecco che troviamo un animale che fa capolino, scolpito nei capitelli, dipinto sui muri o miniato nei capilettera dei codici. “Animali” è peraltro un termine assai riduttivo, dal momento che non solo la varietà degli esseri che vediamo rappresentati è incredibilmente vasta, ma anche che il Medioevo considera quasi alla pari gli animali reali e le creature fantastiche: l’arte medievale è talvolta un giardino zoologico che ci rallegra, ci turba, ci stupisce, ci incuriosisce.
Gli animali – inventati e non – raramente sono raffigurati per sé stessi, rappresentano sempre altro, come sentimenti, affetti, emozioni. L’intera sfera degli stati d’animo umani e divini, insomma, trova nel corpo degli animali quello che potremmo chiamare un “contenitore di allegoria”. Abbiamo detto umani e divini, perché ancora una volta a ispirare artisti e scrittori nel Medioevo sono le sacre scritture, la Bibbia in primis, e le storie che da esse derivano.
Ma un altro volume è stato fondamentale per trovare ispirazione nel corso del Medioevo: si tratta del Physiologus, un antico testo scritto in lingua greca forse ad Alessandria d’Egitto. Esso si può ben considerare l’antenato di tutti i bestiari medievali, cioè quei libri che raccolgono (come fossero veri e propri cataloghi) le illustrazioni di animali corredate da testi descrittivi delle caratteristiche fisiche e morali di ogni animale. Sì perché gli animali nel Medioevo hanno un’anima, o meglio, un animo, che li fa essere di volta in volta entità positive o negative, indipendentemente dalle loro sembianze: nei bestiari si raccoglie dunque il meglio del sapere medievale, un sapere che corre sul crinale tra la fede e la scienza, che nell’epoca medievale è molto sottile e talvolta perfino confuso. Già, perché se Dio è Verità, anche ciò che viene da Dio è vero in assoluto ed assume il valore di prova scientifica: dunque in un modo che per noi è quasi incomprensibile, gli animali immaginari diventano veri per il solo fatto di essere portatori di significato morale e/o religioso, trovando posto nelle pagine miniate dei bestiari, summa del sapere enciclopedico del Medioevo sugli animali, e nelle opere d’arte. Le bestie ci ammoniscono, ci incoraggiano sulla via della virtù, ci minacciano se commettiamo peccato, ma ci tentano, ci ammaliano, ci accompagnano nel cammino della vita.
Ed ecco allora i cani che significano fedeltà, i purissimi unicorni che si lasciano ammansire solo da una vergine, il pavone che talvolta richiama la vanità e talvolta la vita eterna, ma anche la chimera, il serpente che si morde la coda, il drago. E ciò che è più stupefacente è che all’occhio dell’osservatore anche più illetterato queste immagini parlavano di Dio, della Giustizia, del Bene e del Male in un racconto per immagini che solo il Medioevo ha saputo creare.