In questi giorni stiamo vivendo in una condizione particolare che può essere interpretata, a ben vedere, come una trasformazione del rapporto tra la dimensione privata e quella pubblica. Ora più che mai diventa quindi interessante ripensare a progetti del passato che hanno immaginato, anche se in altri modi e con diversi esiti, un cambiamento simile.
Ci troviamo a Marsiglia nel dopoguerra e a Charles-Édouard Jeanneret, in arte Le Corbusier, non sembra vero di aver trovato la possibilità di realizzare la propria idea di città con la pianificazione e la costruzione dell’Unité d’Habitation. L’interlocutore è Raoul Dautry, ministro dell’Urbanistica e della Ricostruzione che, accettando i principi dell’architetto svizzero, pone le basi per offrire soluzioni concrete per la sistemazione temporanea dei cittadini rimasti senza casa durante la guerra.
Un’occasione unica per dare vita ad un processo progettuale iniziato fin dagli anni Venti con le immeuble-villas. Nel 1942 nel suo libro La maison des hommes, Le Corbusier parla di una “città giardino verticale” che assorbe, in uno sviluppo ascensionale verso il cielo, tutte le funzioni urbane, lasciando libero il territorio circostante riconquistato dal verde. Un’idea che arriva da lontano e che trova i suoi riferimenti, più o meno palesi, nel falansterio ottocentesco di Fourier e negli edifici collettivi realizzati in Unione Sovietica dopo la rivoluzione.
Il processo compositivo appare piuttosto semplice: si tratta di una struttura cellulare in cui i nuclei abitativi sono duplex – alloggi a due piani – che si sviluppano per l’intero spessore del fabbricato e prendono così aria da entrambe le facciate. L’ingresso dei 337 appartamenti è servito da una strada interna che corre ogni tre livelli, riducendo al minimo lo spazio servente in favore dello spazio servito.
Ma il vero punto del progetto è la presenza, all’interno dello stesso edificio, non solo di aree comuni ma anche di numerose funzioni solitamente al di fuori dell’ambiente domestico: al settimo piano è prevista una galleria di negozi e di ambienti commerciali, mentre la terrazza all’ultimo piano accoglie una pista per le corse, una piscina per bambini, un giardino d’infanzia e una palestra.
L’Unité si presenta, usando le parole di Frampton, come un vero e proprio “condensatore sociale” nel quale si raggiunge un livello di autonomia abitativa piuttosto elevato, rendendo possibile lo svolgersi di una buona parte della propria quotidianità in una singola costruzione. Non deve quindi stupire il suo valore di modello riproducibile nelle periferie di tutta Europa. Saranno realizzati altri cinque esemplari a Nantes, a Berlino, a Briey-en-Fôret e a Firminy-Vert tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.
Nonostante l’Unitè sia successivamente diventato il simbolo per eccellenza della speculazione edilizia in atto in molte delle nostre città, colpisce ancora oggi per il suo carattere rivoluzionario non solo per la sua epoca ma anche in tempi recentissimi in cui l’abitazione ha assunto nuovi confini, materiali e psicologici.
I diversi appartamenti sono concepiti come stanze di un grande albergo dove ognuno ritrova il suo raccoglimento e la sua solitudine. Lo spazio comune è lì a due passi, a portata dell’individuo che in questo modo ha la possibilità di non uscire dall’edificio.
Con la situazione attuale invece, quando l’esterno diventa interdetto e non c’è più altra scelta, un’architettura del genere, nel suo carattere provocatorio, si ripropone come una soluzione particolare per ritrovare una socialità perduta e un’interazione mediata.
Locali commerciali e di servizio al settimo piano
Buffo come certe idee visionarie possano passare dal plauso alla condanna e poi emergere dall’oblio museale per ritornare spunti validi in situazioni anomale, come quella che stiamo vivendo. Certo, visitarla com’è oggi, poco vissuta, fa una certa impressione, in certi punti è quasi spettrale.
… In fondo le grandi architetture sono questo: ci fanno riflettere in tutte le direzioni possibili. Fa impressione vedere ad esempio l’edificio di Marsiglia con alcuni appartamenti musealizzati dagli stessi condomini e la perdita della socialità tanto auspicata. Ma l’idea originale quella resta ed ancora oggi diventa uno spunto di riflessioni per le sfide attuali. Grazie DesignHunt Team!